martedì 18 settembre 2012


Incontro nel bosco

Adoro il bosco, adoro tutto ciò che è natura, solitudine, silenzio, alberi, muschio, ombra... Adoro camminare nelle foglie ed ascoltare il rumore dei miei passi...
Il paese è già alle mie spalle, sono gli ultimi scampoli di un'estate calda, c'è tiepido, anche se è l'alba ed il tutto è ancora avvolto dalla foschia mattutina. Cammino. Il sentiero è ben pulito, posso forzare il passo, mi piacerebbe vedere se riesco ancora ad arrivare alla Bocca della Selva in diciotto minuti. Qualche anno fa feci questa prova. Essendo che sulla segnaletica da noi posata abbiamo stimato, in passeggiata, una trentina di minuti (partendo dalla Cima di Vicosoprano), ho voluto misurarne il tempo procedendo senza divagazioni e "di fretta"... ebbene, diciotto minuti di fatica e soddisfazione...
Fiatone, non indugio a guardarmi intorno o a stringere questo maledetto scarpone allentatosi... fiatone ma sto bene, le gambe stanno ancora meglio... Bivio per Pescin, otto minuti al cronometro...  "Bocca della Selva 20 min" dice il cartello, ce ne devo mettere dieci per starci, proseguo.
Fine del sentiero delle Ciappelle, mi resta un patrimonio di cinque minuti, via quasi di corsa tenendo la macchia fotografica  e la felpa ancorate ad un braccio... Arrivo alla Bocca, vedo verde, respiro come se stessi affogando... guardo il cronometro: 16:40!!!! Sorrido, sempre "sbanfando", mi accovaccio, guardo la terra bruna... "come il vino... invecchio e miglioro! sorrido di nuovo alle nuvole e alla Valle ancora addormentata...
Mi riassetto, ora inizia la passeggiata  tranquilla e perchè no, se dovessi trovare qualche fungo...
Cammino sulla carrabile, sono quasi alle "Due Strade", mi butto nel bosco verso la vetta dell'Oramara.
Cammino, il bastone mi aiuta, il bosco è abbastanza ripido e scivoloso e lì davanti un  pianoro per un attimo di riposo. Le foglie mosse dai miei passi mandano un bel profumo di umido, vagamente fungino ed eccomi sul piano... passi nel bosco, mi sporgo verso il basso... Oddio!... mi irrigidisco, non mi ha sentito, sono sottovento. Un cinghiale di un'ottantina di chili mi guarda immobile... guardo lui e con un movimento impercettibile porto davanti la Reflex e giro su ON, quasi stessi caricando un Beretta 70/90 d'assalto. Mi sembra di essere Rigoni-Stern ne "Il Sergente nella neve", quando, entrando in un'isba nella steppa russa si trova davanti mezza dozzina di soldati nemici... tutti muti e immobili... Scatto una salva di foto, non sono convinto del risultato e il bestio è ancora lì davanti... Mi immagino un corpo a corpo cruentissimo, mi immagino il trofeo di caccia sulle mie spalle insanguinate  e la gente di Vicosoprano che mi porta in trionfo... Chissà perchè poi, sono quasi anti-caccia! Rinvengo dal sogno, il cinghiale è sparito, silenzioso e volatile,  in barba alla sua mole e ai suoi modi non proprio leggiadri, lasciandomi sbigottito...  Però! e  sorrido all'incontro, ricordandomi anche di aver avuto una  paura folle.
Proseguo nel bosco, scendo per incontrare la strada consortile e ritornare in paese, ripenso al quadrupede e alla grama vita che lo aspetta, fra cacciatori, fughe frenetiche con i cani che lo incalzano, freddo, neve e magari piccoli cui portare cibo e protezione...
La mattina volge al termine, ho ancora il tempo di fotografare un grosso rospo mimetizzato fra le foglie dei faggi e di cogliere un bel porcinetto sodo come un sasso...
Cammino per il sentiero calcato qualche ora prima, l'auto mi aspetta, si stanno svegliando le attività nella valle... un clacson lontano... punto il 300mm: ad Ascona fuma qualche comignolo... Buongiorno Mondo!
Lele

domenica 16 settembre 2012

Vicosoprano, un giorno di primavera

Vico...
(Scritto da Lorenza che ospito molto volentieri su questo mio spazio)

Non ricordo la prima volta che misi piede a Vico...
Ho in mente solo il viaggio, lunghissimo, mi sembrava interminabile e per di più, con varie soste perchè io o qualcun'altro dovevamo sendere dall'auto per vomitare.
Una delle tipiche fermate avveniva sullo spiazzo in cima al monte, la Forcella... dopo innumerevoli curve, arrivava quella con la casetta con la Madonnina e capivo di essere troppo in là per tornare indietro. Non mi lamentavo, dentro di me maledivo il posto in cui stavamo andando, mi domandavo perchè mi portassero via dal "mio mare". D'estate si sta al mare, non si va in montagna... ignoravo che su quei monti avrei trovato il "mio" Vico...
E poi il flash del cartello, non sapevo ancora leggere, ma quelle lettere messe così, a formare quel nome strano, mi sono rimaste subito impresse nella mente.
Probabilmente le mie prime estati passate a Vico sono vuote di avvenimenti o aneddoti perchè, così piccola, passeggiavo sempre con un adulto o mi tenevano in casa... ora capisco!
Mi volevano proteggere, forse non volevano che mi affezionassi troppo a quel luogo, forse i miei genitori, gli agosti successivi avrebbero voluto trascorrere le loro ferie da un'altra parte (come quando mi hanno portata a Livigno invece di stare a Vico... vuoi mettere? Imparagonabile) e ci sarei stata troppo male.
Fatto stà che se porti un bimbo a Vico un estate... ci vorrà sempre ritornare!
All'inizio ci volevo tronare per le amichette. Le avrei trovate ad aspettarmi in piazza, altrimenti, buttata la valigia sul letto, sarei corsa a chiamarle a casa, non usando il campanello, bensì gridando il loro nome dalla strada... Com'era liberatorio ed elettrizzante ogni volta!
Quelli sono stati gli anni in cui giocavo davanti a casa, a Pravilla, e nelle viette del paese. Avevo paura delle galline di Giose e della Giromina che le faceva sempre svolazzare con il bastone; adoravo guardare mungere le mucche e sentire il profumo del latte ancora caldo. Potevamo stare tutto il pomeriggio su una scalinata di pietra; con qualsiasi cosa cosa, riuscivamo a fantasticare. Sono state le estati più gioiose e mi rattristava tornare a casa...
Da adolescente ci volevo tornare per la libertà che solo li avevo e per gli "amori".
Spesso ci arrivavo in corriera, forse credo di aver preso  una delle ultime che da Rezzo ti portava a Vico e che ti lasciava nelle narici il profumo del pane destinato al negozio. In Campolungo sentivo il cuore battere più forte e scommettevo con me stessa su quale persona avrei incontrato per prima.
I ricordi più intensi fanno parte di questo periodo; "scappavo" dalla città per qualsiasi festività, appena c'erano vacanze scolastiche pensavo all' organizzazione per salire a Vico o a come chiederlo ai miei...
L'unico giorno segnato in rosso sul calendario che stavo a casa con loro era Natale... Capodanno, Befana, Pasqua, ai santi... dopo pianti snervanti alla fine mi lasciavano sempre partire.
Ho visto Vico in tutte le stagioni ma ero troppo giovane per soffermarmi ad ammirare i colori; c'era sempre qualcosa da fare, battaglie a palle di neve, a piedi in Pescin per un torneo o una "ciappata" in Pian Sejun...
poi sono venuti gli anni delle prime cotte... Dai! Non ditemi che andavate alla "Cappe " di notte solo per guardare le stelle, mangiucchiare shifezze e spegnere il lampione...
Sapevamo di vederci poche volte l'anno; vivevamo tutto più intensamente, con l'istinto e la follia della nostra età; ci si credeva, forse troppo ma è grazie a quel troppo che siamo rimasti così legati...
Magari non ci si sentiva per mesi ma dopo le prime frasi tipiche: "Come stai? - Quanto ti fermi?" erano gli occhi e i sorrisi a parlare. Il silenzio dell' inverno svaniva e sembrava non ci fossimo mai salutati a settembre dell'anno prima.
Terminata la scuola sarei stata più libera, avrei avuto meno problemi e costrizioni per tornare in quel paese magico, ma qualcosa stava cambiando. Crescendo si prendono strade diverse e ogni anno che passava incontravo sempre meno amici. Colpa del lavoro, dei fidanzati gelosi e della voglia di scoprire posti nuovi... In tanti hanno smesso di tornare a Vico ed io, troppe volte, ho desiderato di tornare bambina.
Oggi? Vico? Credo sia la mia salvezza! Un rifugio un posto lontano dove i cinque sensi si riattivano, dove l'anima smette di fare a pugni con il cuore e si riposa sdraiata su fili d'erba. Mi piace immaginarlo dentro ad una sfera di vetro, quelle che scuoti e si muove la neve, con una porta segreta che pochi conoscono, per entrarvi.
Ora a Vico ci ritorno per me stessa, per il paese, per non lasciarlo solo. Da "grande" le visuali cambiano, le priorità diventano altre... forse un po' egoisticamente non ho mai messo Vico dietro a qualcosa o a qualcuno...
Adesso il cuore inizia a sussultarmi già al bivio, sul ponte dell'Aveto e da lì in poi, il piede preme di più sull'acceleratore... Riesco a vedere i suoi colori... Sorrido passando la curva dove prima c'era il cartello e qualcuno anni fa vi si attaccava e faceva "il vento"... Non impazzirò più per trovare parcheggio, in piazza c'è sempre posto.
Arrivo che il paese sembra deserto, un silenzio surreale mi accompagna verso casa, ho il fiatone ma non per la stanchezza... Senza rendermene conto i miei passi diventano qusi saltelli, coe per schivare qualcosa, è un'abitudine, lo faccio sempre quando passo davanto alla stalla... da ragazzina saltellavo per evitare le cacche delle galline.
Varcata la soglia mi sento più giovane, libera, leggera. Ho voglia di ascoltare, chiacchierare, domandare, sedermi sulla panchetta della cucina con il tepore della stufa e ridacchiare con chi vedo solo li... So esattamente quale quadretto o fotografia troverò sulle pareti, dove sono attaccate le forbici e di che colore è la fodera del cuscino sulla panca. I miei occhi percorrono tutta la stanza, quasi a controllare che tutto sia al suo posto, che nulla sia cambiato. Prima arrivavo in casa e uscivo subito, come se il tempo per stare con gli amici non fosse mai troppo, ora sono più le volte che piombo a Vico quando non c'è quasi nessuno. E' in questp presente che mi godo davvero tutto ciò che di naturale, "banale" e vivo mi dà il paese.
Come in un percorso, con discese e salite, con rifiuti, eccessi e delusioni, sono cresciuta assaporando qusi ogni suo gusto, vibrando con lui e commuovendomi ad ogni alba e tramonto.
...Lascio il borsone in macchina, è una giornata stupenda, il sole si stà nascondendo tra i monti accentuando ancor di più il loro morbido profilo: resterei per sempre!
Quante volte ho desiderato un imprevisto, un guasto all' auto, una nevicata... qualcosa che mi trattenesse ancorsa qua.
Prolungo l'ennesimo "arrivederci" e mi dirigo verso Pacosta, incontro solo due gatti, miagolano, avranno fame ma preferisco pensare che mi stiano dicendo di tornare presto... un malinconico sorriso si stampa sul mio viso. Nel tratto rettilineo prima di arrivare a Pacosta, dove non ci sono case e solo il verde ti abbraccia, rivedo i sorrisi, le corse, le candele accese, agli abbracci, i pianti, gli spaventi... quante "fotografie" possiede nell'anima un essere umano?
Mi siedo sulla panchina di pietra, accendo una sigaretta, guardo verso la forestale e poi verso la salita che porta in cima al paese, un tiro, un altro, mi dico:" finito di fumare, vado!" Mi avvicino alla ringhiera e osservo con cura ogni cosa, fin giù, dove c'è chi riposa e ci osserva...
E' durata troppo poco questa sigaretta... Torno indietro, un ultimo saluto ai miei monti dalla piazza e accendo l'auto.
Ciao Vico! Torno da te al più presto.

Ringrazio nuovamente Lorenza per questo scritto. Il fatto che mi è stato consegnato in copia cartacea e manoscritto mi ha reso doppiamente felice. Con Lorenza, almeno quindici anni fa, mi intrattenevo con una fitta corrispondenza. Che bello era il  trovare la sua lettera nella cassetta della posta... in questi giorni ho riassaporato qualcosa di antico, qualcosa che mi ha fatto sorridere e riflettere sui ritmi frenetici ai quali siamo abituati che spesso rendono sterili i sentimenti che comunque proviamo.
Lele

martedì 11 settembre 2012

Anche questa volta
Anche questa volta è finita.
E' finita all'improvviso frangendosi nei saluti e nelle strette di mano fugaci, nei sorrisi malinconici, nell'ultimo sguardo ai monti immobili battuti dal vento d'autunno e dal triste sole del pomeriggio.
 E' finita, e resta il ricordo dei visi incontrati, delle battute, delle serate, delle nuvole e dell'ultimo bicchiere vuotato...
E' finita e mi sovviene quell'Uomo sorridente che si avvicina porgendomi la mano, Silvano, incontrato dopo anni e ritrovato amico e riferimento per qualche piccolo sfogo o qualche parola...
E' finita, me ne accorgo ed Elisabetta mi carezza la mano che stringe il volante nervosa,  la strada di casa si accorcia, e là sopra il mio Vico ormai spoglio  ci guarda e si nasconde per sempre dietro la Luga...
L'asfalto ormai corre e poi gallerie e discesa e l'Aveto, poi Trebbia, e l'Eridano, il caldo e Pianura e poi casa. Finita.
Lele
( 9 settembre 2012)